della Associazione Culturale Generoso Simeone
Canuto, occhiali reyban neri, sigaro chiuso tra le labbra sottili, che con cadenza regolare libera la bocca lasciando il posto ad un sorriso da uomo ludens, stile casual, mai borghese, sempre giovane, camicia sbottonata anche d’inverno, passo cadenzato, fine osservatore dall’eloquenza pungente e allegorica. Questa la prima immagine che elabora la mia mente di Paolo Signorelli.
Figlio di un tempo ingrato, giovane soldato di una generazione che, per una manciata di minuti non ha preso parte all’ultima battaglia della guerra del “sangue contro l’oro”, conserverà sempre viva la rabbia per non essere stato “nel tempo giusto un leone morto”.
La politica per Paolo comincia così, con un
a sassaiola contro gli occupanti americani, all’età di 11 anni; in questa prima “intifada” si sprigiona la sua essenza di eretico, grazie alla quale potè estraniarsi, alla ricerca di una salutare solitudine, dagli insegnamenti dei cattivi maestri, “vili, felloni, voltagabbana”, del suo tempo.
“Il viandante intraprende il suo viaggio con due libri nel tascapane Rivolta contro il mondo moderno di Evola e i Proscritti di Von Salomon. Poi impara a coniugare Nietzsche ed Heiddeger con Platone, Marinetti con Papini, Codreanu con La Rochelle, Brasillac con Cèline, Ortega y Gasset con Ezra Pound. Poi Berto Ricci e Junger…”e diventa correttamente eretico e jungerianamente ribelle, al punto da rappresentare un problema, per la chiusura dogmatica di un partito, poi un pericolo, per uno stato di “camerieri”, che richiede un popolo schiavo.
1980 il suo tormento, l’accusa di strage e dell’omicidio Amato e Occorsio, stimolate dalle rivelazioni di un pentito, reati dai quali soltanto dopo dieci anni di carcere sarà scagionato. Dieci anni per sperimentare la verga della macchina stato, per guardare in faccia i veri nemici, per sognare la vittoria, il sole, le catene che si spezzano. Dieci anni riversati nel libro di “Professione imputato” del 1996, la sua confessione arrabbiata dell’imputato e dell’uomo.
Esce nel 1990, umiliato, stanco, ma non desideroso della resa, sempre la stessa luce negli occhi, lo stesso fuoco nel cuore, un po’ di chili in meno, qualche botta in più sul corpo, lo spirito intatto, privo di macchia, pronto a ripartire.
E riparte con entusiasmo fonda il periodico Giustizia Giusta e l’associazione per la Giustizia e il diritto Enzo Tortora, uomo dimenticato e ugualmente spezzato dalla malafede di quanti “non possono volare”.
Entra nelle carceri, nelle aule di tribunale, in difesa di popoli, uomini offesi e privati della dignità oltre che della libertà; Giustizia Giusta il suo mezzo per gridare al mondo che si è in gioco e non ci si è arresi, si aspetta soltanto il momento giusto per cavalcare la Tigre. Rincorre i momenti, l’indifferenza degli “amici” non lo spaventano, le lotte studentesche, le ribellioni degli ultras, le realtà di gruppi giovanili, ma si accorge di trovarsi in uno stato in cui anche la gioventù è diventata anemica.
Quel momento finalmente arriva, ci crede ed entra nel Fronte Sociale Nazionale, dove lungi dal voler per forza essere un capo, si accontenta soltanto di parlare con i suoi ragazzi, condividerne la passione e l’energia.
Rimane volontariamente, non per mancanza di capacità, lontano dai giochini della dirigenza, li sopporta, ma comincia a scalpitare, troppo partito, poca politica. Teneva nel giusto conto gli interessi elettorali, garantiti da un sistema che definiscono democratico, al punto da lasciare il Fronte per non piegarsi ad essi, portando via con sé la mia generazione, affascinata più dalla sua utopia, che dalle promesse di carriera e soldi.
E continuiamo insieme sulla strada diritta che non va né a destra né a sinistra, ma vanti, per farla finita con la destra, con i ghetti con il folklore vuoto e privo di vita.
Benevento 2006, Laboratorio politico forza uomo, una nuova partenza, un progetto abbastanza utopico da essere vincente, ci crediamo, lo seguiamo, fieri e convinti. Si riparte dai territori, da quelle sassaiole per difendere uno spazio proprio, dal risveglio delle coscienze assopite ed umiliate dei popoli del sud, più confacenti alla ribellione a suo dire, perché a più stretto contatto con il sole; si riparte dalla immagine di rivoluzione, di nichilismo attivo, perché solo sulle rovine si può tornare a costruire.
Il laboratorio una scelta definitiva per provare a spostare più avanti i paletti del possibile, un altro sentiero del “terribile”da battere. Una scelta che affronta come garzone di bottega non come capo, avendo sempre ritenuto non fosse quello il suo ruolo, un capo coagula, gestisce,ci disse una volta, a me piace correre da solo.
Viene fermato nella marcia da una malattia, dai fantasmi di un isolamento che lo aveva logorato, si addormenta giovedì 1 dicembre con il consenso degli Dei.
Starà ora brindando e banchettando con gli eroi, come amava fare con noi, sorridente, arrabbiato, fiero, per non essersi piegato nemmeno un momento dinanzi ai colpi inflitti al suo spirito, sicuro di aver lasciato un esempio ed una speranza, che non potremo dimenticare, perché Paolo ha fatto quello che doveva esser fatto, senza inganni né ripensamenti.
Un’avanguardia procede senza voltarsi indietro a guardare cosa fanno le salmerie.
E una pattuglia di notte ha come guida il sogno e le stelle.
Der Sieg wird unser sein!