Bologna trenta anni dopo: considerazioni a margine di un massacro di popolo

 

Nel trentennale della Strage di Bologna, qualche espressione ci viene spontanea, senza con ciò volerci unire alle polemiche ed alle sterili lamentele; si tratta, per quel che ci riguarda, di semplici constatazioni oggettive, sulle quali ognuno può riflettere con la propria tesa e farsi le idee che vuole.

 

Orbene, oltre un anno fa, usciva la notizia di rilevanti dichiarazioni rese da Carlos “lo sciacallo” -il cui vero nome è Ilich Ramirez Sanchez e trovasi, detenuto nel carcere francese di Poissy e famoso per l’assalto al quartier generale dell’Opec nel 1975 e per l’attentato al treno Parigi Tolosa del 1982- ad un Magistrato della Procura di Bologna, Enrico Cieri: «la strage del 2 agosto, a Bologna, non è opera dei rivoluzionari né dei fascisti, comunque quella è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene. Il guaio è che l'Italia è una semicolonia degli Stati Uniti, ragion per cui nel vostro Paese non si possono risolvere i tanti misteri... L'Italia dal 1943 è metà pizzeria e metà bordello degli americani, per questo non si risolve nulla... e lo stesso vale per la Germania, semicolonia americana dal 1945”.

 

Dunque, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti così come Luigi Ciavardini sarebbero estranei all’attentato del 2 agosto 1980, a dispetto delle sentenze che, dopo iter tormentati, fatti di verdetti contrapposti, ne hanno affermato la responsabilità per quel crimine orrendo.

 

Da un anno a questa parte, l’impegno profuso dalla Magistratura bolognese attraverso acquisizioni e traduzioni di montagne di carte provenienti dagli archivi dell’Est, rogatorie, contatti con le Autorità straniere ed esame dei documenti, ha potuto acquisire soltanto generiche conferme circa la compatibilità delle parole di Carlos rispetto alla sua collocazione spaziale all’epoca della strage e ad alcuni suoi contatti; ma niente di più; comunque, nessuna smentita alle affermazioni del terrorista internazionale che, del resto aveva affermato nell’aprile del 2009, allorchè venne sentito dal PM Cieri a Parigi “…io voglio parlare davanti a una commissione ministeriale, non a un magistrato...”.

 

Che ciò potesse avvenire ed in tempi brevi era l’auspicio di tutti coloro che ancora non vogliono dimenticare le vittime di quell’eccidio né la sofferenza di chi per quel fatto venne incriminato e carcerato, sia anche stato assolto dopo anni, come il Prof. Paolo Signorelli che è intervenuto nel procedimento in corso, attraverso il suo difensore Avv. Gabriele Bordoni, questa volta nella veste di persona offesa, al pari dell’Associazione per il Diritto e la Giustizia Enzo Tortora; ma di quella eventualità -che agli occhi dei più sarebbe indefettibile, stante il più che evidente interesse- non si è più parlato, lasciando gravare il fardello sulla Magistratura, lasciata senza conforto e senza sostegno.

 

Eppure, durante le fasi finali della XIII legislatura, l’organismo bicamerale, era riuscito ad ottenere l’audizione di Carlos a Parigi, tramite commissione rogatoria internazionale in Francia; tuttavia, all’ultimo momento, inspiegabilmente, quella rogatoria abortì perché, a detta del giudice francese allora incaricato del caso, Jean-Louis Bruguière, uscito di scena poco tempo prima delle ultime dichiarazioni di Carlos, erano venute meno le condizioni di serenità ed affidabilità, necessarie per compiere un atto formale di quell’importanza.

 

L’audizione di Carlos si sarebbe dovuta svolgere nei giorni 16 e 17 ottobre 2010

 presso una sala del Palazzo di Giustizia di Parigi e sarebbe stata comunque sottoposta a rigidi restrizioni: non sarebbe stato possibile effettuare un resoconto stenografico e la registrazione del colloquio avrebbe potuto avere luogo solo se l’interessato fosse stato d’accordo.

 

Queste condizioni imposte dall’autorità giudiziaria parigina fecero allora infuriare Carlos che accusò il giudice Bruguière di avere sabotato l’autorità parlamentare italiana per far naufragare la rogatoria e la nostra Commissione ne dovette prendere atto, rilevando l’impossibilità di ascoltare Carlos, se non a fronte di un suo cambiamento di atteggiamento.

 

Sta di fatto che, allontanatosi da quell’Ufficio quel Magistrato, quel cambiamento è prontamente intervenuto e Carlos ha reso quelle dichiarazioni importanti che ricordavamo, dicendosi ora disposto a venire in Italia per essere ascoltato senza limitazioni di sorta, così da rifinire ed entrare nel dettaglio del proprio racconto, sino ad ora rimasto superficiale ed evanescente, anche se di notevole portata.

La posta in gioco, del resto, è talmente alta che non si vede quali difficoltà possano ostacolare, fra due Paesi della U.E., il perfezionamento di questa indagine a livello politico parlamentare prima ancora che giudiziario.

 

Il silenzio ed il disinteresse verso questa ipotesi investigativa -che presenta, quanto meno, le medesime note di interesse ed aspettative di successo di tante altre che vennero a suo tempo esplorate in ogni dove, rivelandosi per la più gran parte del tutto inconsistenti- lascia sconcertati: è ben vero che il passare del tempo non aiuta la ricerca della verità, ma è anche vero che non si scorgono ragioni serie per non raccogliere -in primo luogo sul piano politico, quindi su quello giudiziario- quella che si presenta, comunque, come una delle ultime possibilità di fare luce su quella tragedia barbara che macchio per sempre la città di Bologna ed il Paese intero.

 

Dobbiamo pensare che si tratti di cinismo, di mancanza di rispetto per il dolore di chi ha lasciato quel giorno i propri cari sotto le macerie della stazione e per chi ha subito l’infamia di essere indicato come autore di quel massacro; oppure di appagamento per la verità giudiziaria sin qui raggiunta, anche se scricchiolante (una verità che, per prima, la stessa Magistratura italiana non vede come ostacolo alla ricerca di alternative) ? O forse c’è timore nel riaprire quella pagina di storia insanguinata ?

Almeno che qualcuno ci spieghi, ci dica perché è proprio così inutile ascoltare Carlos in profondità, dando così modo all’Inquirente di procedere oltre.

 

Avevamo detto un anno fa che volevamo che si arrivasse sino in fondo alle parole dello “sciacallo”, per cancellarle se frutto di mitomania oppure per consentire loro di offrirci qualche tassello in più di verità, sospingendo la nostra Giustizia a riprendere il suo corso, per cercare -in un clima politico meno rovente, questo solo essendo il vantaggio del tempo trascorso-  di fare luce, anziché arrestarsi.

 

Dopo un anno di silenzio e di fronte alle scelte di oblio del Governo, urliamo forte la nostra rabbia, per essere una volta ancora chiamati a sopportare di vivere in un Paese che non ha più anima, coscienza civile, anelito di verità e Giustizia.

 

Un Paese che non rispetta il dolore dei suoi figli.

 

(Paolo Signorelli per Giustizia Giusta)